Galleria Elleni

MIART

17 - 21 Aprile 2009
Due monografiche di Aldo Tagliaferro e Bruno Di Bello.
Aldo Tagliaferro e Bruno Di Bello due artisti che partendo dalle esperienze milanesi della Pop e della Mec_Art alla fine degli anni sessanta con Rotella e Bertini si sono affrancati dai compagni di viaggio contrassegnando i loro autonomi percorsi per l’utilizzo di immagini fredde caratterizzate da una forte componente concettuale e riportate su tele fotosensibili. Nello spazio dedicato ad Aldo Tagliaferro presenteremo delle tele emulsionate di grande formato dalla serie delle “pettinature africane” utilizzate come forma di alfabeto e quindi scrittura e “Io Ritratto” del 1977 e "Sopra e sotto un metro d terra " lavoro incentrato sul concetto di relatività della percezione dello spazio in rapporto con il proprio io già presentato al PAC di Milano alla mostra Utopie quotidiane nel 2002. Nello spazio dedicato a Bruno Di Bello presenteremo lavori su tele emulsionate di grande formato del periodo mec_art, scomposizioni delle lettere dell’alfabeto e delle firme degli artisti delle avanguardie storiche del novecento: Man Ray, Duchamp, Klee. Verranno esposti inoltre i lavori realizzati con il mezzo digitale, cioè “fotografie senza soggetto” per riprendere un termine di Mario Costa, geometrie dei frattali, punto d’intersezione tra razionalità scientifica ed estetico “stupore”, quasi a indicare, nel passaggio dal costruttivismo di ieri al de_costruttivismo di oggi, linguaggio utilizzato anche dall’architettura contemporanea. (nella foto da sinistra Gianni Bertini e Bruno D Bello nello stand di Aldo Tagliaferro)

Rino Carrara

ULTIMA_mente
24 Gennaio otto Marzo 2009
Presentazione in catalogo di Stefano Raimondi.
A 3 anni dall’ultima personale presso alla Elleni e dalla presentazione del volume monografico Rino Carrara Labirinti, l’artista presenta nei rinnovati spazi della galleria alcuni lavori di grande formato sutela frutto della sue ultime ricerche volte ad indagare il rapporto tra opera d’arte e spazio espositivo, “spazio reale” e “spazio percepito”. Verranno inoltre esposti 10 lavori storici su carta, provenienti dall’archivio dell’artista, concepiti non come modellini per i lavori più grandi, ma vere e proprie esperienze di manipolazione diretta della materia di grande raffinatezza.La personale e ossessiva ricerca minimale di Carrara con i fili di cotone direttamente sulla tela si è da sempre contraddistinta per un forte rigore formale e coerenza concettuale, incurante delle mode che si sono avvicendate nel secondo novecento ha proseguito la ricerca in appartata solitudine. I suoi lavori appaiono pertanto sospesi nel tempo difficilmente etichettabili nel panorama artistico contemporaneo, comunque in sintonia con certe correnti di pensiero contemporanee che rifiutano gli sterili concettualismi di maniera nell’arte e vogliono riportare la tecnica, anzi il “bel fare” come sostiene Carrara, al centro della ricerca artistica.

Mario Cresci

SOTTOTRACCIA
28 Marzo - 9 Maggio 2009
a cura di Luca Panaro
Mostra e catalogo con il patrocinio di Regione Lombardia, Assessorato alla Cultura della Provincia di Bergamo, Comune di Bergamo.
In mostra opere fotografiche che indagano sottilmente le stratificazioni culturali che caratterizzano la città di Bergamo; l’autore entra nel tessuto artistico, storico e scientifico del territorio, da cui estrae raffinati collegamenti visivi che restituiscono una più intensa conoscenza dei luoghi. Il percorso si apre con il progetto collettivo della serie Bye bye Signor Conte che mostra le tracce lasciate dai dipinti sulle pareti della Pinacoteca dell’Accademia Carrara. Approfittando dei lavori di ristrutturazione dell’edificio, Cresci documenta una quadreria inedita, colta in assenza di quelle opere che normalmente caratterizzano il luogo. I rettangoli bianchi lasciati dai quadri alterano la percezione dello spazio, creando geometrie variabili, tracce di una presenza che è indicata soltanto dai riferimenti didascalici. A seguire una serie di nove ritratti (Fuori tempo), ottenuti dall’artista avvicinando il proprio mezzo fotografico ad alcuni dipinti realizzati da maestri del passato. Una sorta di ritratto nel ritratto che provoca un interessante cortocircuito fra l’opera dipinta, l’autore che la fotografa e coloro che osservano il personaggio dopo questo mutamento visivo. E’ così che l’Autoritratto (1732) di Vittore Ghislandi, detto Fra Galgario, oppure il Ritratto di gentildonna (1570) di Giovan Battista Moroni, si animano di una nuova vita assumendo un dinamismo espressivo inaspettato. A conclusione di questa prima parte della mostra, che trae spunto dalle opere custodite in Pinacoteca, quattro fotografie raffiguranti i volti in movimento di un re e di una regina, particolari di due delle quarantasei sculture donate da Federico Zeri all’Accademia Carrara. Questi simboli del potere sono trasfigurati dal mezzo fotografico che ne ridimensiona l’importanza iconica. La mostra prosegue sommando immagini di luoghi e oggetti differenti, le informazioni storiche e quelle scientifiche s’intrecciano per offrire una nuova consapevolezza sullo sviluppo culturale della città di Bergamo. Nella serie A mano libera, undici utensili antichi, ripresi su fondo bianco, sono fotografati durante un moto nello spazio, ottenendo così forme approssimative che ne mutano la consueta conoscenza. L’attenzione di Cresci si sposta poi sulla visione ingrandita di particolari marmorei fotografati alle cave di Zandobbio (Niente è stabile), da cui provengono i materiali utilizzati per i monumenti del centro storico di Bergamo; cinque totem fotografici alti due metri, ottenuti combinando elementi ripetuti e ruotati sulla superficie verticale dell’immagine. Dopo un tuffo nell’arte e nella storia del territorio, non poteva mancare un riferimento alla cultura scientifica bergamasca, che trova nella figura del fisico settecentesco Giovanni Albricci un degno rappresentante. La sua macchina copernicana (1783), oggi custodita nel museo del Liceo Paolo Sarpi, permetteva di studiare la posizione e la distribuzione dei corpi celesti. A conclusione del percorso la serie Da cosa nasce cosa, alcuni dittici fotografici esplicitamente ispirati nel titolo e nella metodologia progettuale ad una nota pubblicazione dell’artista Bruno Munari.

Gianni Berengo Gardin

ANTOLOGICA
30 Ottobre - 31 Dicembre 2009
a cura di Uber Calori | Testi in catalogo Giuseppe Meroni Prosegue il programma della Galleria Elleni di proposta dei più importanti artisti/fotografi contemporanei italiani ed internazionali.
Dal 30 Ottobre  al 31 Dicembre nel nostro spazio espositivo  di via Broseta 37  un  percorso di 30 immagini in bianco nero dall’archivio del grande fotografo ligure, milanese d’adozione, Gianni Berengo Gardin insignito nel 2008 a New York del «Lucie Awards», uno dei più prestigiosi riconoscimenti internazionali di fotografia. Un percorso che racconta la storia italiana degli ultimi quarant’anni attraverso i suoi scatti. Una documentazione oggettiva e distaccata, una raffinata indagine sociologica. Tra le immagini esposte ci saranno alcune delle più significative del suo archivio, come quelle scattate durante la biennale di Venezia del 1968, durante la contestazione.

Berengo Gardin straordinario interprete del nostro tempo ci rimanda ad immagini ormai indissolubilmente saldate alla memoria collettiva del nostro paese che raccontano senza bisogno di essere spiegate.

Jorunn Monrad

dicembre 2009 gennaio 2010
Jorunn Monrad è nata in Norvegia nel 1961 in una famiglia di artisti ed intellettuali, Vive da molti anni a Milano, dove si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera con Alik Cavaliere. La sua ricerca è da sempre focalizzata sulle forme zoomorfe. A partire dal 1988 ha presentato mostre in Italia, Svizzera, Germania e Norvegia. Dopo essersi diplomata a Brera, Jorunn Monrad ha esplorato certi immaginari tipicamente scandinavi interpretandoli in forme scultoree che sembrano tratte da un bestiario antico. La stessa ispirazione zoomorfa è alla base del motivo che caratterizza i dipinti degli ultimi anni. Il campo pittorico è gremito senza soluzione di continuità di animali delineati nella forma più elementare; si tratta di un piccolo essere vivente, ripetuto con una tecnica pittorica razionale e accurata, che si genera e rigenera movendosi sinuosamente sulla superfi cie del quadro. L’indagine di fenomeni scientifi ci e di testi letterari ha condotto Monrad ad inserire nella visione pittorica frasi o simboli che sono rappresentativi dei concetti presenti negli studi da cui l’opera stessa ha trovato spunto. Leggendo De Quincey mi sono resa conto - spiega Jorunn Monrad - che i miei quadri parevano illustrare le sue allucinazioni: “la testa abominevole del coccodrillo e i suoi occhi maligni mi guardavano, ripetuti in mille aspetti diversi: e io restavo a fissarli affascinato e nauseato”. (Thomas De Quincey, 1821) Altri autori come Huxley, Watts e soprattutto Walter Benjamin analizzano, con grande lucidità e sensibilità artistica, immaginari molto simili alle visioni pittoriche di Monrad: “E’ noto che se si chiudono gli occhi e si esercita su di essi una leggera pressione, sorgono delle fi gure ornamentali sulla cui forma non si ha alcuna infl uenza. (...) Quando e sotto quale forma esse compaiono, in un primo momento è del tutto indipendente dalla volontà, giacché esse prendono forma fulmineamente e senza preavviso. Poi, una volta che ci sono, entra in gioco la fantasia che opera più coscientemente, per prendersi certe libertà con esse”. (Benjamin, 1934) Interpreta Valerio Dehò: “ Questi lavori se da un lato procedono nell’esibire l’evidenza di una viralità insita nell’arte (tutto brulica, si divora, si accresce, si riproduce), dall’altro introducono il paradigma del linguaggio come frontiera non invalicabile e come limite che le arti fi gurative possono conquistare, anche se attraverso questi rettili invadenti e ossessivi, simpaticamente perversi.